
mark_wahlberg - filmovie.it
L’uscita nelle sale di Lone Survivor nel 2013 ha confermato un trend ormai consolidato nel cinema statunitense: raccontare episodi bellici realmente accaduti attraverso un’estetica potente e una narrazione studiata per esaltare lo spirito patriottico. Il film diretto da Peter Berg parte da un fatto reale avvenuto in Afghanistan nel 2005, ma si inserisce in una lunga scia di produzioni incentrate sulla glorificazione dell’eroismo americano. In questo caso, la vicenda ruota attorno alla missione fallita di quattro Navy SEALS nel cuore dell’Hindu Kush e al salvataggio dell’unico superstite, Marcus Luttrell. Pur vantando un cast solido, due nomination agli Oscar e una regia tecnicamente curata, il film resta incastrato nei limiti di una retorica già vista.
Un racconto tratto da un episodio reale
Il 28 giugno 2005, tra le impervie montagne dell’Hindu Kush, si consumò un’operazione militare segreta degli Stati Uniti, denominata Red Wings, volta all’eliminazione di un comandante talebano. Il protagonista di questa storia è Marcus Luttrell, l’unico sopravvissuto di un’unità composta da quattro Navy SEALS. Durante una missione di ricognizione, il gruppo si imbatte in alcuni pastori locali che, lasciati liberi per rispetto delle regole di ingaggio, rivelano la loro posizione ai combattenti talebani. Ne scaturisce un violento scontro armato in cui trovano la morte Michael Murphy (Taylor Kitsch), Danny Dietz (Emile Hirsch), Matthew Axelson (Ben Foster) e l’ufficiale dei servizi segreti Kristensen (Eric Bana).
Il film segue da vicino il resoconto fornito dallo stesso Luttrell nel suo libro, edito nel 2007, ma punta tutto sull’intensità visiva della battaglia, con scene al rallentatore e riprese di forte impatto che danno risalto allo scontro impari tra gli americani e i talebani. L’elemento più interessante arriva nel momento in cui Luttrell, ferito e disarmato, trova rifugio presso un villaggio pashtun. Il capo tribù decide di aiutarlo, seguendo un codice d’onore antico, pur sapendo che ciò avrebbe portato gravi conseguenze per la sua comunità, poi colpita duramente dai talebani.
Ambizioni da kolossal, ma risultati modesti
Con un budget stimato di circa 40 milioni di dollari, Lone Survivor avrebbe potuto ambire a diventare un punto di riferimento per il cinema di guerra moderno. Il cast è guidato da un Mark Wahlberg convincente e ben calato nel ruolo, mentre la regia di Peter Berg cerca di trasmettere un senso di coinvolgimento diretto, avvicinando la cinepresa ai corpi, ai volti, alle ferite, sfruttando una fotografia livida e un montaggio serrato.
Nonostante queste qualità tecniche, il film resta ancorato a una visione semplificata del conflitto, dominata da esaltazione dell’eroismo americano e contrapposizione netta tra il bene e il male. Lo spettatore viene accompagnato in una narrazione che, pur dichiarando di voler rendere omaggio a un evento drammatico realmente accaduto, si concentra soprattutto sull’azione e sulla resistenza fisica del protagonista. La figura dei talebani è quasi priva di contesto e approfondimento, ridotta spesso a una presenza indistinta e minacciosa, utile solo a generare tensione.
Il cinema americano tra patriottismo e mercato
L’approccio scelto da Peter Berg per raccontare questa storia si inserisce in una tradizione cinematografica che punta a trasformare la guerra in spettacolo ad alto impatto emotivo, costruito per attrarre un pubblico ben preciso. A differenza di autori come Oliver Stone, che con Platoon nel 1986 aveva aperto a riflessioni critiche sulle scelte belliche degli Stati Uniti, Berg si limita a descrivere l’eroismo dei soldati senza interrogarsi sulla cornice geopolitica che ha portato a quella missione.
Il tono del film sembra rivolgersi a uno spettatore identificabile, affascinato dalle divise, dalle armi e dai valori militari. Non a caso, l’industria cinematografica americana continua a realizzare prodotti simili, in cui la guerra è al tempo stesso tragedia e intrattenimento. Le immagini potenti, il ritmo sostenuto e le musiche evocative servono a esaltare l’azione, mentre la riflessione resta sullo sfondo.
Lone Survivor ha trovato un buon riscontro commerciale, anche grazie alla sua carica emotiva e alla presenza di attori noti, ma rimane un esempio di come Hollywood sappia valorizzare episodi realmente accaduti trasformandoli in prodotti confezionati per il grande pubblico. Il rischio, in questi casi, è quello di perdere il senso profondo degli eventi, sacrificato in nome dello spettacolo e della celebrazione.